Giorno 233

Un articolo del quotidiano indipendente The Moskow Times (il logo in copertina) è occasione per un attento esame delle forze contrapposte nel Cremlino e sulla stato del potere di Putin

Orio Giorgio Stirpe

Ho postato un articolo del quotidiano indipendente Moscow Times (ndr. in lingua inglese, con possibilità della traduzione automatica in italiano) che mi sembra descrivere piuttosto bene la situazione della mobilitazione russa.

Da ricordare che si tratta di un quotidiano non di Regime, che ha dovuto interrompere le pubblicazioni in Russia a causa delle recenti norme di censura militare, e che avendo ripreso a lavorare dall’estero non può essere considerato “neutrale”; d’altra parte i suoi cronisti operano dall’interno del Paese e offrono una prospettiva decisamente interna e prossima a come la gente comune in Russia vive il conflitto.

L’articolo conferma moltissimi aspetti che abbiamo già evidenziato, offrendone però di nuovi.

Innanzitutto, conferma come la mobilitazione abbia preso di mira soprattutto fasce di popolazione rurale e lontana dalle grandi città; ma ci dice anche come questo non sia stato un concetto fondamentale nell’organizzazione, in quanto si legge anche di persone strappate al lavoro di avvocato a San Pietroburgo e avviate immediatamente al fronte.

Ci racconta come ormai la censura non riesca più a nascondere il livello delle perdite sul campo, e nemmeno lo scarso addestramento impartito alle reclute, per non parlare del livello paurosamente scarso dell’equipaggiamento loro fornito.

Conclude anche come le notizie allarmanti e luttuose dal fronte non abbiano ancora scosso significativamente il morale della popolazione della Russia profonda, che rimane patriottica e vicina al proprio Presidente.

Quel che si può concludere dal contenuto dell’articolo è che la guerra comincia ad avere un impatto reale sulla gente comune. Questo al momento non ha portato ad un cambiamento sensibile da parte della maggioranza dell’opinione pubblica nei confronti della politica del Cremlino, ma il fatto stesso che la gente cominci ad interrogarsi sulla qualità della mobilitazione potrebbe diventare significativo a breve-medio termine.

Se qualcosa comincia a muoversi nella precedentemente granitica base della popolazione russa, anche al vertice gli equilibri interni sono sottoposti ad una pressione crescente. Nei giorni passati abbiamo visto come Putin abbia dato parziale soddisfazione ai gruppi più nazionalisti, rimuovendo diverse personalità militari e ponendo al comando operativo della campagna in Ucraina una personalità particolarmente gradita agli estremisti per via dei suoi precedenti brutali in Siria.

Oggi leggiamo di un giro di vite piuttosto duro nei confronti dei cosiddetti “milblogger (gli operatori di materia militare nel web, che seguono e supportano la campagna e dai quali una larga fascia di popolazione trae le proprie informazioni di dettaglio sulla guerra)” più nazionalisti e maggiormente critici della direzione della campagna stessa. Fra questi anche “Wargonzo” e Girkin, il “Comandante Strelkov”, autori di molti dei commenti pro-Russia che arrivano anche da noi.

L’accusa nei confronti di questi milblogger è di aver discreditato le Forze Armate… E questo appare in contraddizione con la precedente purga di generali, che sembrava dovesse estendersi fino ai vertici rappresentati da Shoygu e Gerasimov.

In realtà non si tratta di una contraddizione, quanto di una conferma di come Putin sia ancora saldamente in sella da una parte, e di come si veda costretto a rinforzare la sua posizione dall’altra.

Non sono un “cremlinologo”, quindi non mi spingerò troppo in profondità nell’analisi dei rapporti di forza al Vertice del Regime; però si sa che Putin ha una cerchia molto ristretta intorno a sé di personalità di cui si fida e che ritiene di avere nel pugno, quali il Capo del Consiglio di Sicurezza Petrushev, il Patriarca Cirillo (ndr. Kirill), il portavoce personale Peskov, il fedelissimo Medvedev e il Ministro della Difesa Shoygu: il potere di costoro non è legato tanto al loro incarico specifico, quanto alla loro vicinanza allo stesso Putin. Immediatamente all’esterno di questa cerchia di fedelissimi – la cui eventuale disgrazia rappresenterebbe un colpo diretto allo stesso Putin – abbiamo una limitata presenza di tecnocrati che Putin stima più in forza della competenza professionale che non della personale lealtà alla sua figura, come il Primo Ministro Mishustin, il suo Vice Belousov, il Ministro degli Esteri Lavrov, il Capo di Stato Maggiore Gerasimov e la Presidente della Banca Centrale Nabiullina. Queste personalità potrebbero eventualmente essere sacrificate da Putin senza conseguenze dirette sul suo potere personale.

Esistono poi tre sfere di potere esterne alla cerchia immediata di Putin, che però bilanciandosi fra loro sostengono il Regime e concorrono al controllo della base. Queste tre sfere di potere sono rappresentate dagli oligarchi dimostratisi fedeli nel tempo a Putin e che da una parte contribuiscono al controllo delle Regioni periferiche del Paese, e dall’altro traggono supporto dal suo potere per coltivare i propri interessi; dall’insieme dei Servizi di Sicurezza, da cui provengono più o meno indirettamente tutti gli uomini di fiducia di Putin e che attraverso le rispettive reti informative incrociate fra loro garantiscono la stabilità del Regime; e infine dalle Forze Armate, a loro volta divise fra loro in modo da bilanciarsi a vicenda.

La guerra ha impattato con forza sull’equilibrio interno del Regime, in quanto ha colpito in maniera diversa la triade di supporto al Vertice: in particolare le Forze Armate risultano fortemente indebolite mentre alcuni oligarchi hanno visto la loro posizione rafforzarsi in base all’utilità dei loro servizi di emergenza nei confronti del Vertice.

Le tre sfere di potere che sorreggono il centro stanno ora riequilibrando i loro rapporti in una situazione di ostilità reciproca nel tentativo di ripartire le responsabilità per gli insuccessi riscontrati. Abbiamo appena assistito ad un colpo ben preciso orchestrato dall’oligarca Prigozhin, autonominatosi leader degli ultranazionalisti, proprietario della PMC Wagner e della “fabbrica dei troll” di San Pietroburgo, nonché patrono dei milblogger più accesi, che forte dei suoi diversi assetti ha imposto una vera e propria “purga” di generali.

Ora vediamo la reazione con cui Putin, soddisfatta la pressione dell’alleato Prigozhin il supporto dei cui assetti è ormai fondamentale nella condotta della guerra, interviene per cercare di consolidare il prestigio delle Forze Armate, probabilmente anche per soddisfare le pressioni del suo sodale Shoygu.

In mezzo, la sfera dei Servizi Segreti continua la sua azione rivolta tanto contro le Forze Armate (da cui le voci – improbabili ma persistenti – sulle possibili responsabilità russe sul bombardamento del ponte di Kerch) che contro gli oligarchi responsabili secondo loro della liberazione di numerosi prigionieri nemici di alto livello in cambio della restituzione di un solo oligarca detenuto dagli ucraini.

Naturalmente le cose sono molto più complicate di così: tanto al Vertice che all’interno delle tre sfere esterne del Regime le dinamiche sono complesse, ma quello che mi preme puntualizzare è che quello che all’inizio del conflitto era un sistema solidamente bilanciato, è attualmente scosso da vibrazioni che obbligano ad un continuo riaggiustamento dei suoi equilibri interni.

Nel frattempo, anche la base tradizionalmente stabile e praticamente immobile comincia ad essere agitata da dubbi e tensioni crescenti, che a loro volta finiranno con destabilizzare quanto si erge sopra di essa.

Negli articoli precedenti abbiamo posto in evidenza come l’iniziativa nel conflitto in Ucraina sia ormai sfuggita da tempo dalle mani dei russi, e come gli ucraini, fra tutte le loro difficoltà, godano di un Momentum favorevole che allontana sempre di più ogni prospettiva da parte russa di recuperarla.

La mobilitazione che avrebbe dovuto fornire alla Russia le energie necessarie per invertire il Momentum e cercare di riprendere l’iniziativa, si sta rivelando agli occhi stessi dei russi sempre più fallimentare e comunque incapace di ottenere l’effetto sperato.

Se questo fatto fondamentale appare sempre più chiaro ad osservatori esterni come noi, mi pare difficile che non lo sia anche a coloro che si muovono e agiscono ai Vertici del Regime russo.

Non è quindi complicato pensare che tale consapevolezza sia la causa dei sommovimenti che cominciamo a vedere all’interno della tana dell’orso Vladimiro, che non è più stabile come lo era prima della guerra.

Ho postato un articolo del quotidiano indipendente Moscow Times che mi sembra descrivere piuttosto bene la situazione della mobilitazione russa.

Da ricordare che si tratta di un quotidiano non di Regime, che ha dovuto interrompere le pubblicazioni in Russia a causa delle recenti norme di censura militare, e che avendo ripreso a lavorare dall’estero non può essere considerato “neutrale”; d’altra parte i suoi cronisti operano dall’interno del Paese e offrono una prospettiva decisamente interna e prossima a come la gente comune in Russia vive il conflitto.

L’articolo conferma moltissimi aspetti che abbiamo già evidenziato, offrendone però di nuovi.

Innanzitutto conferma come la mobilitazione abbia preso di mira soprattutto fasce di popolazione rurale e lontana dalle grandi città; ma ci dice anche come questo non sia stato un concetto fondamentale nell’organizzazione, in quanto si legge anche di persone strappate al lavoro di avvocato a San Pietroburgo e avviate immediatamente al fronte.

Ci racconta come ormai la censura non riesca più a nascondere il livello delle perdite sul campo, e nemmeno lo scarso addestramento impartito alle reclute, per non parlare del livello paurosamente scarso dell’equipaggiamento loro fornito.

Conclude anche come le notizie allarmanti e luttuose dal fronte non abbiano ancora scosso significativamente il morale della popolazione della Russia profonda, che rimane patriottica e vicina al proprio Presidente.

Quel che si può concludere dal contenuto dell’articolo è che la guerra comincia ad avere un impatto reale sulla gente comune. Questo al momento non ha portato ad un cambiamento sensibile da parte della maggioranza dell’opinione pubblica nei confronti della politica del Cremlino, ma il fatto stesso che la gente cominci ad interrogarsi sulla qualità della mobilitazione potrebbe diventare significativo a breve-medio termine.

Se qualcosa comincia a muoversi nella precedentemente granitica base della popolazione russa, anche al vertice gli equilibri interni sono sottoposti ad una pressione crescente. Nei giorni passati abbiamo visto come Putin abbia dato parziale soddisfazione ai gruppi più nazionalisti, rimuovendo diverse personalità militari e ponendo al comando operativo della campagna in Ucraina una personalità particolarmente gradita agli estremisti per via dei suoi precedenti brutali in Siria.

Oggi leggiamo di un giro di vite piuttosto duro nei confronti dei cosiddetti “milblogger (gli operatori di materia militare nel web, che seguono e supportano la campagna e dai quali una larga fascia di popolazione trae le proprie informazioni di dettaglio sulla guerra)” più nazionalisti e maggiormente critici della direzione della campagna stessa. Fra questi anche “Wargonzo” e Girkin, il “Comandante Strelkov”, autori di molti dei commenti pro-Russia che arrivano anche da noi.

L’accusa nei confronti di questi milblogger è di aver discreditato le Forze Armate… E questo appare in contraddizione con la precedente purga di generali, che sembrava dovesse estendersi fino ai vertici rappresentati da Shoygu e Gerasimov.

In realtà non si tratta di una contraddizione, quanto di una conferma di come Putin sia ancora saldamente in sella da una parte, e di come si veda costretto a rinforzare la sua posizione dall’altra.

Non sono un “cremlinologo”, quindi non mi spingerò troppo in profondità nell’analisi dei rapporti di forza al Vertice del Regime; però si sa che Putin ha una cerchia molto ristretta intorno a sé di personalità di cui si fida e che ritiene di avere nel pugno, quali il Capo del Consiglio di Sicurezza Petrushev, il Patriarca Cirillo, il portavoce personale Peskov, il fedelissimo Medvedev e il Ministro della Difesa Shoygu: il potere di costoro non è legato tanto al loro incarico specifico, quanto alla loro vicinanza allo stesso Putin. Immediatamente all’esterno di questa cerchia di fedelissimi – la cui eventuale disgrazia rappresenterebbe un colpo diretto allo stesso Putin – abbiamo una limitata presenza di tecnocrati che Putin stima più in forza della competenza professionale che non della personale lealtà alla sua figura, come il Primo Ministro Mishustin, il suo Vice Belousov, il Ministro degli Esteri Lavrov, il Capo di Stato Maggiore Gerasimov e la Presidente della Banca Centrale Nabiullina. Queste personalità potrebbero eventualmente essere sacrificate da Putin senza conseguenze dirette sul suo potere personale.

Esistono poi tre sfere di potere esterne alla cerchia immediata di Putin, che però bilanciandosi fra loro sostengono il Regime e concorrono al controllo della base. Queste tre sfere di potere sono rappresentate dagli oligarchi dimostratisi fedeli nel tempo a Putin e che da una parte contribuiscono al controllo delle Regioni periferiche del Paese, e dall’altro traggono supporto dal suo potere per coltivare i propri interessi; dall’insieme dei Servizi di Sicurezza, da cui provengono più o meno indirettamente tutti gli uomini di fiducia di Putin e che attraverso le rispettive reti informative incrociate fra loro garantiscono la stabilità del Regime; e infine dalle Forze Armate, a loro volta divise fra loro in modo da bilanciarsi a vicenda.

La guerra ha impattato con forza sull’equilibrio interno del Regime, in quanto ha colpito in maniera diversa la triade di supporto al Vertice: in particolare le Forze Armate risultano fortemente indebolite mentre alcuni oligarchi hanno visto la loro posizione rafforzarsi in base all’utilità dei loro servizi di emergenza nei confronti del Vertice.

Le tre sfere di potere che sorreggono il centro stanno ora riequilibrando i loro rapporti in una situazione di ostilità reciproca nel tentativo di ripartire le responsabilità per gli insuccessi riscontrati. Abbiamo appena assistito ad un colpo ben preciso orchestrato dall’oligarca Prigozhin, autonominatosi leader degli ultranazionalisti, proprietario della PMC Wagner e della “fabbrica dei troll” di San Pietroburgo, nonché patrono dei milblogger più accesi, che forte dei suoi diversi assetti ha imposto una vera e propria “purga” di generali.

Ora vediamo la reazione con cui Putin, soddisfatta la pressione dell’alleato Prigozhin il supporto dei cui assetti è ormai fondamentale nella condotta della guerra, interviene per cercare di consolidare il prestigio delle Forze Armate, probabilmente anche per soddisfare le pressioni del suo sodale Shoygu.

In mezzo, la sfera dei Servizi Segreti continua la sua azione rivolta tanto contro le Forze Armate (da cui le voci – improbabili ma persistenti – sulle possibili responsabilità russe sul bombardamento del ponte di Kerch) che contro gli oligarchi responsabili secondo loro della liberazione di numerosi prigionieri nemici di alto livello in cambio della restituzione di un solo oligarca detenuto dagli ucraini.

Naturalmente le cose sono molto più complicate di così: tanto al Vertice che all’interno delle tre sfere esterne del Regime le dinamiche sono complesse, ma quello che mi preme puntualizzare è che quello che all’inizio del conflitto era un sistema solidamente bilanciato, è attualmente scosso da vibrazioni che obbligano ad un continuo riaggiustamento dei suoi equilibri interni.

Nel frattempo, anche la base tradizionalmente stabile e praticamente immobile comincia ad essere agitata da dubbi e tensioni crescenti, che a loro volta finiranno con destabilizzare quanto si erge sopra di essa.

Negli articoli precedenti abbiamo posto in evidenza come l’iniziativa nel conflitto in Ucraina sia ormai sfuggita da tempo dalle mani dei russi, e come gli ucraini, fra tutte le loro difficoltà, godano di un Momentum favorevole che allontana sempre di più ogni prospettiva da parte russa di recuperarla.

La mobilitazione che avrebbe dovuto fornire alla Russia le energie necessarie per invertire il Momentum e cercare di riprendere l’iniziativa, si sta rivelando agli occhi stessi dei russi sempre più fallimentare e comunque incapace di ottenere l’effetto sperato.

Se questo fatto fondamentale appare sempre più chiaro ad osservatori esterni come noi, mi pare difficile che non lo sia anche a coloro che si muovono e agiscono ai Vertici del Regime russo.

Non è quindi complicato pensare che tale consapevolezza sia la causa dei sommovimenti che cominciamo a vedere all’interno della tana dell’orso Vladimiro, che non è più stabile come lo era prima della guerra.

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