Giorno 232

Nè le elezioni Usa di Mid-Term, né il congresso del PCC Cinese, come pure il G 20 potranno offrire a Putin una via d’uscita da un conflitto che non potrebbe vincere r chr in effetti sta perdendo.

Orio Giorgio Stirpe

Il fango che monta in Ucraina limita sempre più le operazioni militari e quindi l’attenzione generale della popolazione europea torna a concentrarsi sulle ipotesi diplomatiche.

Come abbiamo già specificato, quando le attività militari languono, generalmente è appunto il momento di puntare sulla diplomazia. Disgraziatamente, le “annessioni” russe hanno reso ogni ipotesi di trattativa volutamente impraticabile, visto che a questo punto sarebbe inevitabile che almeno una delle parti dovrebbe accettare una mutilazione territoriale e nessuna delle due può permettersela.

Le speranze di chi ancora s’illude che sia possibile giungere ad una soluzione negoziata del conflitto si concentrano sui grandi eventi politici in calendario: le elezioni americane di Mid-Term, il Congresso del Partito Comunista Cinese, e il G20 in Indonesia.

Proviamo a vedere se queste speranze siano in qualche modo ben riposte.

Coloro che sono ancora irrazionalmente convinti che la causa prima del prolungamento del conflitto sia la determinazione americana di indebolire la Russia sperano che le elezioni di Mid-Term indeboliscano il Presidente Biden. Questa convinzione è frutto ancora una volta della loro scarsa comprensione dei meccanismi politici americani: è vero che probabilmente i repubblicani allargheranno la propria presenza al Congresso, ma il fatto che l’ex-Presidente Trump fosse apertamente vicino a Putin non significa affatto che un rafforzamento dei repubblicani ammorbidirebbe le posizioni americane. La posizione di Trump in campo repubblicano è stata un’aberrazione che non ha lasciato tracce sensibili: i repubblicani da sempre sono molto più rigidi nei confronti della Russia rispetto ai democratici, e il sostegno USA all’Ucraina è assolutamente bi-partisan. Un successo repubblicano potrà anche indebolire Biden in politica interna, ma non cambierà minimamente la sua posizione in politica estera. Per intenderci, i repubblicani sono favorevoli all’invio di missili a lunga gittata per gli ucraini…

Le persone che vivono nella certezza che la Cina sarà l’unico vincitore di questa guerra invece guardano a Pechino. Il Congresso del PCC probabilmente rafforzerà enormemente Xi Jinping, che è notoriamente vicino (a modo suo) a Putin. Esiste anche peraltro una (bassa) possibilità che l’esito sia una sua sostituzione, ma in ogni caso non ci saranno cambiamenti drastici nella politica del Dragone: la Cina non è Nazione avvezza ai cambiamenti di rotta clamorosi o alle iniziative estemporanee dei suoi leader. La politica cinese è tradizionalmente di ampio respiro e orientata al lungo periodo. Da un lato poggia sulla partnership strategica con la Russia, che garantisce una sponda diplomatica sicura e costante, fornisce un ombrello nucleare strategico gratuito e una disponibilità costante di materie prime a buon mercato; dall’altro però necessita di un mercato mondiale aperto e sicuro, dove la reciproca dipendenza commerciale e finanziaria con l’Occidente (America ed Europa a pari titolo) è irrinunciabile. Pertanto i margini di variazione del supporto cinese alla Russia sono minimi: potremo assistere a qualche invio di munizionamento d’artiglieria o a qualche chiusura di linea di credito in più o in meno, ma niente di più clamoroso o significativo.

Il G20 in Indonesia in realtà offre la prima opportunità di un confronto diretto fra i massimi leader mondiali, inclusa la possibilità di un incontro bilaterale fra Biden e Putin.

Da sempre la Russia ama tratteggiare l’idea che dal suo rapporto con gli USA dipendano i destini del mondo. Nella visione di Putin in realtà Mosca e Washington sono i due unici giocatori di scacchi del pianeta: tutti gli altri sono solo pedine, o peggio ancora (come l’Ucraina) semplici caselle della scacchiera.

Anche per questo per lui una vera trattativa diretta con Zelensky sarebbe un’umiliazione inaccettabile, mentre un dialogo con l’America (possibilmente una “nuova Yalta” con una ridefinizione delle rispettive “aree di influenza”) sarebbe più che auspicabile.

Nella visione di Putin, solo un dialogo con l’America potrebbe avviare una qualche soluzione del conflitto, con Biden nel ruolo di colui che dovrebbe convincere il recalcitrante Zelensky ad accettare i sacrifici territoriali necessari per placare il suo potente vicino.

Questa è esattamente anche la visione di moltissimi pacifisti nostrani: costoro hanno metabolizzato l’idea che Putin sia effettivamente il cattivissimo irrecuperabile, e che “non sia ragionevole” aspettarsi che possa abbandonare del tutto le sue pretese, per quanto inaccettabili queste possano essere in linea di principio. Pertanto diventa ragionevole che le concessioni debbano essere estorte a qualcun altro… Se poi questo “qualcun altro” non siamo nemmeno noi, non vedono alcun problema etico nell’accusarlo di irresponsabilità: dopo tutto sono loro che devono pagare bollette sempre più salate e rischiare l’Armageddon nucleare.

Per l’appunto però questa è esattamente la visione di Putin, e ciò che la sua propaganda cerca di imporre all’attenzione dell’opinione pubblica occidentale: chi sostiene tale visione non è altro che uno strumento inconsapevole della guerra ibrida della Russia contro l’Occidente (oltre che di quella convenzionale contro l’Ucraina).

Ovviamente la posizione diplomatica dell’Occidente è ben diversa. Il fatto che Putin sia un “cattivissimo” ormai irrecuperabile rimane assodato, ma non è accettabile che tale sua condizione possa rendere accettabili delle pretese da parte sua che sono e restano inammissibili… In particolare nel momento in cui la guerra la sta perdendo.

L’inammissibilità poi non dipende solo dai valori etici su sui si fondano le democrazie occidentali e la diplomazia internazionale (che includono l’inviolabilità unilaterale delle frontiere del 1945), ma anche dalla natura dei rapporti che reggono le alleanze occidentali da quasi ottant’anni. La supremazia di fatto degli Stati Uniti sull’Occidente in particolare e nel mondo in generale non si basa su un potere “imperiale” in senso classico, ma su una combinazione di alleanze, obblighi reciproci e “soft power” in senso lato per cui se Washington dovesse decidere di “tradire” Kyiv imponendole dei sacrifici territoriali in contrasto con regole e valori sostenuti finora, unicamente allo scopo di placare le frustrazioni di Mosca, il suo intero sistema di alleanze ne risulterebbe irrimediabilmente compromesso.

I principi fondamentali su cui poggiano gli ordinamenti occidentali e le regole che gestiscono i rapporti internazionali impongono che il rapporto diplomatico destinato a definire in ultimo l’esito del conflitto sia quello fra la Russia e l’Ucraina: i due Paesi in guerra. La differente percezione di dignità che Putin ha della sua Russia rispetto al proprio nemico è parte integrante del problema, e quindi non può essere parte della soluzione: soprattutto nel momento in cui i russi non stanno neppure vincendo sul campo.

Il fatto che l’Ucraina sia inserita ormai a pieno titolo nel campo occidentale e che la guerra sia chiaramente evoluta in un conflitto per procura della Russia contro l’intero Occidente, oltre ad essere un’ovvia conseguenza dell’aggressione che Putin avrebbe dovuto prevedere, non significa affatto che la vera controparte del presidente russo sia quello americano: era e rimane quello ucraino, il cui esercito sta contenendo e addirittura respingendo quello avversario.

Biden non può e non deve parlare con Putin per conto dell’Ucraina; però può sicuramente facilitare un contatto fra Mosca e Kyiv, ed eventualmente garantire l’applicazione di un eventuale accordo.

Nel frattempo, un primo contatto bilaterale può rappresentare uno spunto di speranza ed uno sviluppo positivo per tutti; ma gli argomenti da affrontare devono rimanere per l’appunto bilaterali. Questi potranno spaziare dal problema della giocatrice di pallacanestro americana detenuta in Russia in base ad accuse chiaramente strumentali, fino ad un rilancio delle trattative “new START” sulle testate nucleari sia strategiche che tattiche.

In senso più generale, Biden potrebbe e dovrebbe mettere in chiaro una volta di più come lo scopo dell’Occidente non sia mettere la Russia in ginocchio ma solamente neutralizzare l’aggressione all’Ucraina, e che in caso di ritiro russo entro i confini internazionalmente riconosciuti i russi non dovranno aspettarsi un dopoguerra umiliante.

In ogni caso l’orso Vladimiro non dovrà e non potrà aspettarsi alcuna soddisfazione in premio per la sua aggressione.

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