Giorno 226

Prosegue l’analisi degli equilibri, sempre più precari, nei poteri del Cremlino su cui si poggia il potere di Putin. In copertina Putin ed i suoi generali

Orio Giorgio Stirpe

Analizzando la situazione interna al Regime russo, abbiamo visto come un Colpo di Stato che deponga Putin scaricando su di lui tutta la responsabilità del conflitto è probabilmente l’unico modo per porre effettivamente fine alla guerra in maniera duratura; abbiamo però anche dovuto concludere che una soluzione di questo tipo al momento appare ancora estremamente improbabile… Almeno altrettanto improbabile di un’escalation nucleare che non conviene a nessuno.

Dobbiamo quindi rassegnarci almeno per il momento ad una prosecuzione delle operazioni convenzionali, dove assistiamo ad uno sfruttamento del Momentum favorevole da parte degli ucraini che hanno recuperato l’iniziativa grazie alle perdite esiziali subite dai russi con le loro tattiche imposte da Putin ai suoi generali.

Il fatto però che il Regime sia tuttora abbastanza coeso da non mettere a rischio il suo vertice non significa che al suo interno non esistano dinamiche degenerative.

La pressione dal basso comincia a salire: quello che era un solido 80% di supporto popolare all’”Operazione Militare Speciale” (contrapposto ad un 20% che comprendeva – secondo un istituto demografico statale russo – contrari e indecisi e costituito in prevalenza da giovani fra i 18 e i 25 anni delle aree urbane) adesso appare frammentato fra “patrioti”, indifferenti e dubbiosi. Le notizie dal fronte cominciano ad incrinare le granitiche certezze sulla potenza militare della Madrepatria, e la mobilitazione ha seminato molto più panico che entusiasmo, portando ad una fuga in massa dalla Federazione verso i confini ancora aperti, e smentendo così il luogo comune sull’irriducibile patriottismo e spirito di sacrificio dei russi.

L’incertezza della base popolare non può non riflettersi nei rapporti fra i gruppi di potere che sostengono il Regime: gruppi di potere che hanno accesso a molte più informazioni rispetto alla popolazione, e che quindi sono perfettamente consapevoli della gravità della situazione al fronte e di come il recupero dell’iniziativa militare appaia, più che problematico, addirittura impossibile.

Alexey Slobodenyuk, il propagandista preferito al servizio di Eugeny Prigozhin (ideatore della propaganda russa basata sulle “fake news” di San Pietroburgo, fondatore della PMC “Wagner” nonché “cuoco” e confidente di Putin) è stato arrestato a Mosca dai SOBR, il gruppo paramilitare della Rozgvardya fedelissima dello “zar”.

Prigozhin è da tempo estremamente critico del ministro della difesa Shoygu per la conduzione della campagna militare in Ucraina, e Slobodenyuk è stato la voce pubblica dei suoi attacchi, che si sono spinti a livelli estremamente crudi.

Questo di per sé sarebbe già molto grave, considerato che Prigozhin è fra i tre-quattro uomini più potenti della Russia; che poi l’arresto non sia stato compiuto dall’FSB come ci si sarebbe aspettati in un caso di interesse federale, è chiaramente indicativo dello scontro interno in atto fra i poteri del Regime.

Il fatto è che Shoygu non è semplicemente il Ministro della Difesa, ma è a tutti gli effetti “l’uomo di Putin” nelle Forze Armate, altrettanto intimo dello “zar” dello stesso Prigozhin e uso ad accompagnare il presidente nelle sue battute di caccia e nelle sue sedute sciamaniche in Siberia. Shoygu è l’uomo che ha effettivamente “castrato” le drastiche riforme avviate da Gerasimov per ristrutturare e modernizzare le Forze Armate, agendo su direttiva di Putin per contenere il malcontento della “vecchia guardia” dell’ex-Armata Rossa ed evitare una troppo severa contrazione quantitativa dell’Esercito; molto probabilmente è anche colui che ha imposto a nome del Presidente una pianificazione operativa della Campagna in Ucraina basata interamente sul pregiudizio politico che gli ucraini “non avrebbero combattuto”, che è alla base dell’attuale disastro militare.

Insomma: dare la colpa a Shoygu significa indirettamente darla a Putin stesso, e perfino in un Regime come quello russo la cosa potrebbe rivelarsi anche troppo ovvia.

D’altra parte, Prigozhin e il suo alleato del momento Kadyrov (satrapo della Cecenia normalizzata) in questo momento guidano l’ala più radicale del regime: quella decisa a proseguire ad oltranza il rilancio militare per ottenere il successo finale in Ucraina: una posizione sostanzialmente coincidente con quella di Putin, che appare deciso al rilancio costante nella sfida strategica con l’Occidente.

Lo scontro al vertice del Regime fra l’ala radicale e le Forze Armate, a cui i servizi Segreti e gli altri oligarchi assistono mantenendo un’ambigua neutralità, si svolge al di sopra di un livello intermedio di organi di supporto al regime stesso, i quali per la prima volta appaiono ormai a loro volta in conflitto fra loro.

I principali organi di analisi strategica hanno identificato tre fazioni principali nell’attuale spazio informativo nazionalista russo: i cosiddetti “milblogger” vicini ai corrispondenti di guerra, le associazioni degli ex ufficiali e veterani, e alcuni dei “siloviki” russi, persone con basi di potere informativo o finanziario significative e interessi propri da difendere ad ogni costo.

I milblogger presentano sui social e su internet la visione di Putin sulla guerra a un pubblico favorevole sia a Mosca che negli Oblast e nelle Repubbliche periferiche. La comunità dei veterani sta aiutando a organizzare la mobilitazione e sostiene il morale sul territorio. I siloviki oltre a controllare l’intelligence attraverso i loro “feudi” nei Servizi, stanno fornendo potenza di combattimento sul campo di battaglia finanziando milizie locali, etniche e politicizzate, oltre che le PMC mercenarie.

Putin ha bisogno di tutte e tre le fazioni per sostenere il suo sforzo bellico, ma i fallimenti in Ucraina combinati con la caotica mobilitazione parziale stanno spiazzando la comunità nazionalista radicale in Russia. Putin sta attualmente cercando di placare questa comunità co-optando alcuni blogger dando loro accesso alla televisione di stato, consentendo ai siloviki di generare le proprie forze per continuare le operazioni offensive intorno a Bakhmut, e placando i veterani con la mobilitazione da loro a lungo richiesta.

La frammentazione dello spazio informativo nazionalista russo potrebbe avere impatti interni significativi e potrebbe persino influenzare la stabilità del Regime, perché alla lunga Putin non potrà soddisfare le richieste mutuamente esclusive di vari gruppi. Kodyrov e Prigozhin stanno spingendo per un cambiamento nel modo in cui la Russia combatte la guerra in senso più asimmetrico e non convenzionale, marginalizzando il ruolo delle Forze Armate. I veterani di contro spingono per una revisione più tradizionale del Comando militare e del Ministero della Difesa e per metterli su un piede di guerra convenzionale sulla falsa riga dello STAVKA sovietico. I milblogger stanno attualmente difendendo la loro selezione di comandanti militari sul campo, mentre continuano ad attaccare il Ministero della Difesa e a tale scopo riferiscono in dettaglio i fallimenti in prima linea e in ambito mobilitazione.

Putin non può permettersi di perdere il sostegno di nessuno di questi gruppi, né tantomeno delle Forze Armate; ma non può neppure soddisfarli tutti, soprattutto  mentre la guerra va avanti e le truppe russe continuano a subire gravi perdite.

Lo shock delle sconfitte di Izyum, Kherson e Lyman, amplificati dalla cattiva gestione della mobilitazione parziale, hanno esposto queste crepe sempre più profonde all’interno del regime, esponendole alla vista della popolazione ormai perplessa, e potrebbero anche cominciare a suggerire l’idea di un Putin non più nel pieno controllo della propria base e del proprio potere.

Lo spettacolo dei primi scontri interni fra le fazioni del regime non possono che amplificare tale sensazione.

I riflessi di questi scontri cominciano infatti a vedersi perfino sulle televisioni di Stato, dove ormai si parla apertamente di errori e di sconfitte sul campo. Lo scopo di questi commenti non è certo quello di criticare il presidente, quanto piuttosto quello di sostenere una o l’altra delle fazioni ormai rivali fra loro che lo sostengono, ma questi spettacoli televisivi sono anche il principale strumento di propaganda interna del Regime: sono seguiti dalla maggioranza della gente, e se prima comunicavano solo granitiche certezze, adesso attraverso le fratture che rivelano nel sistema del potere, diffondono invece dubbi e perfino paure.

Quando quell’80% di popolazione che in primavera sosteneva ancora convintamente il suo presidente-padrone si dovesse sgretolare definitivamente fra patrioti duri e puri, cittadini disillusi e soprattutto gente comune spaventata, l’intero edificio del Regime che su esso si appoggia comincerà ad oscillare pericolosamente.

Considerata la spinta militare ucraina, questo sgretolamento appare più che altro questione di tempo.

Il tempo che resta all’orso Vladimiro.

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