Giorno 100

Cento giorni: un bilancio provvisorio di un conflitto sbagliato, che non doveva iniziare e che non si sa come fermare

Orio Giorgio Stirpe

Cento giorni di guerra.

Guerra vera, ad alta intensità come nella II Guerra mondiale: con decine di migliaia di morti, migliaia di carri armati e centinaia di aerei distrutti e il mondo intero convertito ad un’economia di guerra che condiziona la vita della gente fino agli antipodi delle città bombardate.

Eravamo abituati ai conflitti a bassa intensità, o perlomeno brevi: le guerriglie interminabili in America Latina e in Estremo Oriente, le brevissime, folgoranti guerre arabo-israeliane, le guerre nel Golfo, consistenti in campagne aeree di precisione seguite da rapidi e decisivi “blitzkrieg”. Perfino i conflitti di Iugoslavia, che hanno riportato la guerra in Europa dopo cinquant’anni, sono stati conflitti relativamente limitati fra eserciti “poveri” e dotati di scarse capacità a fronte di una ferocia insospettata; i giornalisti amplificavano le cose definendo “artiglieria pesante” il fuoco dei mortai da 82 mm, ma la città di Mostar è stata distrutta con il fuoco di mitragliatrici pesanti durato anni, non con pochi giorni di bombardamenti missilistici.

Quella in Ucraina invece è una guerra vera, combattuta da eserciti convenzionali bene armati su territori estesi, con tutto il concorso possibile di aeronautica, marina, forze speciali e servizi segreti. Una guerra che avrebbe dovuto durare poche settimane, ma che dura da mesi con un’intensità che non si ricordava dal 1945.

Una guerra sostanzialmente scoppiata per errore.

Se ne parlava da tempo; personalmente ne avevo anche accennato nei miei primi post, quando cercavo di analizzare le ragioni dell’evidente fallimento dei piani d’invasione russi già alla fine di febbraio, ma le mie erano supposizioni basate su immagini televisive e su mere speculazioni da tastiera, ancorché basate su esperienza professionale. Adesso però è uscito un rapporto ufficiale dell’intelligence americana che lo afferma con una autorità sicuramente superiore alla mia, anche se qualcuno si affannerà a ricordarci delle famose “provette” di Saddam Hussein (assolutamente false, è vero: ma usate per giustificare all’ONU un attacco già deciso contro un dittatore che aveva scatenato più guerre d’aggressione ed effettivamente adoperato i gas contro la sua stessa popolazione in rivolta).

Vladimir Putin avrebbe il cancro.

Niente di strano: si tratta di un male diffuso, e l’orso Vladimiro ha già raggiunto il limite di vita media della popolazione maschile del suo Paese. Probabilmente si tratta di leucemia, e il presidente russo sarebbe già stato operato una prima volta ad aprile; ovviamente non abbiamo una prognosi ufficiale, ma le indiscrezioni provenienti da Langley parlano di un anno circa di vita utile; quindi, oltre il 2023 dobbiamo aspettarci un cambio al vertice del Cremlino, dove la lotta per il potere sarebbe già in pieno svolgimento.

Ricordo di quando avevo osservato il suo faccione gonfio durante il famoso Consiglio Presidenziale in cui fu deciso il riconoscimento delle “Repubbliche del Donbass”, che in sostanza scatenò la guerra ventiquattr’ore più tardi: i minions di Putin si scatenarono accusandomi di indelicatezza e di affronto ad una figura tanto degna di rispetto… Proprio come capita in certe zone a parlar male dei “mammasantissima”. Mia moglie, che è infermiera, osservò il tremore alle mani e il gonfiore al collo, e pensò all’uso di corticosteroidi. Più interessante fu il commento di uno psicologo militare alla televisione norvegese, che affermò come secondo lui Putin non facesse propaganda ma apparisse assolutamente convinto quando parlava dei “nazisti al potere” a Kyiv e dell’aggressione imminente da parte dell’Ucraina contro i separatisti del Donbass. Ovviamente erano entrambe cose assurde, considerato che il presidente ucraino è ebreo e che la Russia aveva già schierato oltre 150 mila soldati al confine del supposto “aggressore” ucraino: sarebbero state affermazioni tipiche di un aggressore che fa propaganda, ma se ne era convinto lui per primo, allora c’era qualcosa che non andava.

Si era pensato che l’isolamento dovuto alla pandemia avesse creato una “bolla informativa” entro cui il presidente russo assorbiva praticamente solo la sua stessa propaganda, e che quindi avesse cominciato a crederci egli stesso; probabilmente questo è vero, ma ora occorre aggiungere il timore di non veder completata l’opera cui ha dedicato la sua vita, e cioè rimediare al “disastro storico” della caduta dell’Unione Sovietica, creando al suo posto una Russia imperiale, in controllo delle altre repubbliche slave e capace di tener testa all’Occidente lungo una frontiera difendibile e secondo lui “giusta” (corrispondente al vecchio confine sovietico da Kalinigrad a Odessa, noto ai geografi come “istmo ponto-baltico”).

La guerra in Ucraina è stata un errore; Putin ha infiniti difetti, e molti potranno pensare che una leucemia sia il minimo che possa meritarsi, ma una cosa è certa: ha dimostrato di essere un leader intelligente e capace. Se ha commesso un errore così marchiano nel giudicare volontà e capacità di resistere da parte degli ucraini, e volontà e capacità di sostenerli da parte dell’Occidente, ci deve essere una ragione.

Le continue affermazioni delle autorità russe secondo cui le operazioni militari proseguirebbero “secondo i piani” e che “tutti gli obiettivi” prefissati saranno raggiunti, è assolutamente patetica. Nessun piano prevede il sacrificio delle unità militari di élite in una “diversione” (la divisione paracadutisti di Pskov, la migliore dell’esercito, ha subito perdite superiori al 50% nella battaglia di Kyiv, ed è sostanzialmente scomparsa dal fronte esattamente come la brigata di Fanteria di Marina di Sebastopoli); e che l’obiettivo di “disarmare” l’Ucraina e cambiarne con la forza il governo  sia del tutto irraggiungibile è chiaro allo stesso Dmitri Peskov, che oggi si affanna a parlare del solo Donbass cercando di far dimenticare quelli che erano gli scopi dichiarati all’inizio.

La guerra è stato un errore clamoroso, che ha cancellato in pochi mesi tutti i risultati conseguiti da Putin durante il suo lungo periodo al potere. Il prezzo pagato è l’isolamento internazionale, il collasso economico, il blocco quasi totale di esportazioni e importazioni, l’improvvisa sudditanza politica ed economica alla Cina, il logoramento catastrofico delle forze militari convenzionali che costringe a presentare l’arsenale nucleare quale unica vera linea di difesa, e soprattutto il collasso del rispetto internazionale per un potere autoritario incapace di piegare militarmente un vicino più debole ma deciso a difendersi.

In cambio di tutto ciò Putin non ha ottenuto il reintegro dell’Ucraina nel sistema di potere russo, ma l’ha consegnata corpo e anima all’Occidente insieme fra l’altro a Svezia e Finlandia, per non parlare della Moldova, dell’Armenia e del Kazahstan che si stanno staccando definitivamente dall’orbita russa. Quello che il suo esercito ha conquistato è un “ponte” terrestre per la Crimea con il controllo del mare di Azov (come se contasse qualcosa), e le città di Mariupol e di Severodonetsk, entrambe completamente distrutte. I territori occupati sono abitati da una popolazione apertamente ostile e difficilmente saranno riconosciuti come russi da qualcuno nella comunità internazionale: saranno quindi solo un peso in termini sia economici che militari.

Non c’è dubbio quindi che la guerra sia stata un errore: dopo cento giorni è più che evidente e sicuramente ne è consapevole anche l’orso Vladimiro; solo che non sa come uscirne. Guarire dalla leucemia probabilmente sarebbe più semplice che rimediare ad un errore di giudizio così grave.

Ora poi che sa anche di avere poco tempo davanti a sé, probabilmente non se ne cura neppure più molto. Rimediare al suo errore potrebbe essere compito di qualcun altro, che verrà dopo di lui.

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