Franco Battiato

Un anno dalla morte

Nunzia Zampino

A un anno dalla morte di Franco Battiato (in copertina), Rai Documentari ha presentato: «Il coraggio di essere Franco» (Rai1).

Scritto e diretto da Angelo Bozzolini e prodotto da Aut Aut Production, il documentario ripercorre la vita e la carriera di uno degli autori più versatili, curiosi e felicemente post-moderni della musica pop.

In realtà più che una biografia canora, «Il coraggio di essere Franco», rappresenta una sorta di beatificazione del cantante siciliano, con Alessandro Preziosi (la voce narrante e non solo) nelle vesti del postulatore.

Nessuno disconosce i suoi grandi meriti: è stato sperimentatore e finissimo interprete di ogni minimo smottamento delle mode, ha coltivato ossimoricamente l’ermetismo pop e «lo shivaismo tantrico di stile dionisiaco», il gusto naturale per l’artificiale e l’esoterismo e la spiritualità dei libri con le copertine color pastello.

Franco Battiato

Ci vuole il coraggio di essere franchi e ammettere che l’artista siciliano andrebbe preso meno sul serio. Le canzoni di Battiato sono prima di tutto un gioco e come tali meriterebbero di essere interpretate, perché rappresentano un filone della cultura italiana ancora tutto da decifrare: il kitsch colto, da non confondersi con il camp.

Antonio Iannizzotto: “Chiaramente parliamo del Battiato nel periodo di massimo splendore, che va da “L’era del cinghiale bianco” (1979) a “Come un cammello in una grondaia” (1991), che si apriva con la pensosa “Povera patria” destinata a diventare la colonna sonora ufficiale delle manifestazioni antimafia degli anni Novanta e a monumentalizzare in qualche modo Battiato come intellettuale, che fu anche un modo di normalizzarlo. Di lì a poco sarebbe nato il sodalizio con Manlio Sgalambro, il filosofo dalla voce gracchiante e dalla prosa apocalittica, che quando saliva sul palco con Battiato non si capiva chi era il ventriloquo e chi il pupazz».

A parte gli addetti ai lavori, Angelo Bozzolini si è limitato a intervistare i soliti noti.

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