Vincenzo Ciardo un post-impressionista pugliese
Una retrospettiva, nella sua Gagliano del Capo, ha rivalutato un grande artista pugliese: Vincenzo Ciardo. In copertina “Notturno” olio su cartone.
Maria Catalano Fiore
Vincenzo Ciardo, un pittore tardo-impressionista, un artista pugliese legato alla Puglia, al suo paesaggio, al suo mare.
Vincenzo Ciardo, infatti, è nato a Gagliano del Capo (Le) il 25 novembre 1894, dove è anche morto, nel settembre del 1970. E’ artisticamente attivo dai difficili anni del primo dopoguerra mondiale sino alla fine degli anni 70. La sua è una seria preparazione, prima presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino sotto la direzione dell’importante storico e critico d’arte Lionello Venturi (1885-1961), poi presso quella di Napoli, dove frequenta anche la famosa “Scuola di Posillipo”. Questa scuola, improntata soprattutto alla rielaborazione paesaggistica, sarà per lui fondamentale. Ciardo, ovviamente, ammira notevolmente anche l’operato dei conterranei: il barlettano Giuseppe De Nittis (1846-1884) e la sua vita parigina, Onofrio Martinelli (Mola di Bari 1900-1966) e il barese Raffaele Spizzico (1912-2003)

Il suo esordio nella carriera artistica è frenato dalla chiamata al servizio di leva e dal primo conflitto mondiale. In quel periodo, è a Roma e per sua fortuna, viene utilizzato come “decoratore” di caserme. Dopo questa esperienza, nel 1920, comincia ad insegnare a Napoli. Nel 1927 , Ciardo, fonda il “Gruppo Flegreo” un sodalizio di giovani pittori che riprendono le tematiche dell’impressionismo ottocentesco in Europa. Ciardo, inizialmente appare ancora influenzato dal “verismo”, ma ben presto le sue opere si aggiornano verso il post-impressionismo ispirato dalle opere dei francesi Paul Cezanne (1839-1906) e Pierre Bonnard (1867-1947).
E’ tra i protagonisti dell’esperienza bohémienne del “Quartiere Latino a Napoli” (“Ottocento-Novecento, due secoli di pittura a Napoli“, M. Picone Petrusa, ed. Electa, Na 1991) coinvolto in una progressiva, come lui la descrive: “Ricerca del volume, impegno della costruzione di piani nello spazio, prospettiva tonale”. Nel 1940 Ciardo viene nominato, per merito, Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Napoli.

Tra il primo e il secondo conflitto mondiale la ricerca artistica di Ciardo, va quindi incontro alla luce, alla ricerca di volumi, nella costruzione di uno spazio in cui trovano concretezza in una serie di paesaggi ormai affrancati da tutte le altre influenze napoletane. Si dagli anni 30 le sue opere sono esposte alla “Quadriennale” di Roma ed alla “Biennale” di Venezia.
La sua pittura è facilmente riconoscibile, tante le nuove sollecitazioni culturali, favorite dai viaggi, dallo studio e dal contatto con gli altri artisti lo conducono verso un nuovo modo di “fare paesaggi“, passando attraverso il “post-impressionismo”, il “fauves” di Henri Matisse (1869-1954) e gli interni ispirati alle esperienze di Filippo de Pisis (1896-1856) disprezzando apertamente la metafisica di Giorgio De Chirico (1888-1978), anche con sonetti poetici sbeffeggianti.

Ciardo ha la capacità di decantare e assimilare tutte queste influenze traducendole, poi, in modo personale nelle sue tele. Non ama il pubblico, vive riparato, nei suoi luoghi remoti, spesso salentini.
Comunque, si tiene continuamente aggiornato, su eventi, mostre e soprattutto su nuovi centri e movimenti artistici. Acuto osservatore riesce a captare tutto quanto gli occorre per elaborarlo e trasferirlo nelle sue opere.

Altro aspetto dominante nei suoi paesaggi è l’uso del colore puro, spesso ingabbiato, astratto, geometricamente esposto. La sua è una “vera astrazione mentale” che si tramuta in una “asciuttezza” di soluzioni paesaggistiche, ma soprattutto mentali. I suoi paesaggi vengono filtrati come “luoghi della mente, della sua memoria”
Nel 1953 è tra i protagonisti principali della mostra “L’Arte nella vita del Mezzogiorno d’Italia” presso il Palazzo delle Esposizioni a Roma.
Nel 1960 , e ancora nel 1965, è in mostra in collaborazione con i pittori: Remo Brindisi (1918-1996), Eliano Fantuzzi (1909-1987), Carlo Levi (1902-1975), Giovanni Omiccioli (1901-1975), Francesco Trombadori (1886-1961), Antonio Vangelli (1917-2003), in un proficuo confronto-dibattito.

Vincenzo Ciardo, rapportandosi con questi artisti così eterogenei per provenienza e tecnica, dimostra ulteriormente di non condannare mai le nuove tendenze artistiche del secondo dopoguerra e delle avanguardie degli anni 60. Apprende quanto gli occorre, restando fedele alla sua visione figurativa di base, alla quale aggiunge la maturazione del suo stile assolutamente personale.
Un grande artista e poeta, tenuto un po’ in disparte, ma sicuramente, da riscoprire.
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